Un’attenta valutazione dei costi, dei profitti, dei benefici e dei rischi riguardanti la produzione dell’energia elettrica nucleare, o meglio, dell’introduzione della filiera nucleare in un paese occidentale ed industrializzato come l’Italia, con le sue risorse e le sue carenze, non può comprendere unicamente considerazioni socio-economiche, ambientali e territoriali, ma deve includere anche valutazioni globali riguardanti fatti geo-politici che comprendano analisi per il medio e lungo periodo, analisi che considerino l’esigenze della popolazione, oggi e nel futuro.
È assolutamente necessario comprendere l’importanza dell’energia elettrica, le sue potenzialità, ma soprattutto la sua fisiologica correlazione con la crescita economica. Una volta presi in considerazione questi aspetti, si potrà valutare la filiera nucleare con tutti i suoi vantaggi e svantaggi.
Introduzione
Direttamente o indirettamente tutte le nostre tecnologie utilizzano l’energia elettrica. Allo stato attuale non è possibile immaginare una società avanzata che possa funzionare senza questa forma di energia. L’elettricità e le avanzate tecnologie, intese come la capacità di modificare l’ambiente tramite abilità e utensili, sono due entità che non possono essere divise. Senza l’elettricità la tecnologia non funziona, perché gli utensili diventano inutilizzabili e le abilità acquisite per far funzionare gli utensili diventano superflue[1]. D’altro canto è evidente che senza tecnologie non è possibile produrre energia elettrica. Tali ragionamenti dimostrano che esiste una reciproca interdipendenza tra tecnologia e produzione elettrica, che si accentua man mano che l’innovazione avanza. Sempre più oggetti semplici diventano elettronici, la carta stampata sta scomparendo e viene rimpiazzata da tecnologie informative elettroniche, la cucina assomiglia sempre più a un laboratorio di alta tecnologia, dove ogni processo viene automatizzato, con un significativo risparmio di tempo, oramai è diventato impossibile per un meccanico riparare un’autovettura, senza che essa non sia collegata a un computer, aspirapolveri e tosaerba diventano autonomi e lavorano senza l’ausilio dell’uomo…
Tralasciando qualsiasi valutazione riguardante l’utilità o meno di certe tecnologie è comunque inequivocabile l’interdipendenza tra elettricità e tecnologia. Osservando questa interdipendenza da un punto di vista socio-economico le correlazioni si estendono, perché la tecnologia è a sua volta alla base della crescita economica. Il ragionamento logico che dimostra la veridicità di tale affermazione è semplice ed intuitivo: le pratiche economiche del capitalismo, che sono alla base della maggior parte dei sistemi economici nazionali, si basano sul capitale, che equivale ad un qualsiasi bene materiale, virtuale, umano, naturale, finanziario, intellettuale di un certo valore economico, che viene trasformato, alterato o modificato, in modo da aumentare il suo valore intrinseco. Il ruolo che la tecnologia svolge in questo meccanismo economico è quello del più importante e decisivo fattore di trasformazione del capitale, dunque è il fattore decisivo che assicura il guadagno, ossia la differenza tra il valore del capitale e il valore del capitale modificato.
Adesso si potrebbe argomentare che una crescita continua non sia né sostenibile né necessaria, ma la teoria come la pratica hanno dimostrato che non è possibile mantenere stabile un sistema economico senza una continua crescita del prodotto interno lordo.
In altre parole, le pratiche economiche che si sono selezionate, che sono sopravvissute ed abbiamo ereditato dal secolo scorso, delineano di fatto un sistema che necessita la crescita per sopravvivere. Una crescita che corrisponda almeno all’inflazione stessa è vitale, ma non salutare. Una crescita nulla con inflazione nulla è vitale, ma è una situazione molto improbabile e rischiosa. La maggior parte degli economisti reputano necessaria la crescita economica, basandosi sulla legge di Okun[2], che mette in relazione la crescita economica con la diminuzione del tasso di disoccupazione.
Una grande mancanza di posti di lavoro è il primo fattore che mette a rischio l’esistenza di un sistema socio-economico. D’altro canto una crescita economica continua non è sostenibile e per renderla tale è necessario lo sviluppo di fondamentali tecnologie e mirate politiche socio-economiche. La crescita sostenibile sarà per il medio e lungo periodo un fattore di vitale importanza, e l’energia elettrica avrà un ruolo fondamentale.
Il problema energetico nel mondo ed in Italia
Il mondo ha fame non solo di alimentari e di spazio vitale. Con circa sei miliardi e ottocento mila abitanti[3] il nostro pianeta è dunque diventato stretto ed ha grandi difficoltà a sfamarci con le tecniche agrarie praticabili dalla maggior parte della popolazione. L’energia primaria abbonda: luce solare, calore, vento, biomasse, mentre sfortunatamente i combustibili a basso costo sono le fonti energetiche primarie più rare, dunque più preziose come il carbone, petrolio, gas naturale. Per quanto riguarda il consumo d’energia secondaria, essa avviene principalmente attraverso due forme: carburanti (benzina, diesel, gpl, metano) ed elettricità, dove quest’ultima sta lentamente rimpiazzando tutte le altre. Il consumo di elettricità è in continuo aumento fin dagli albori della sua scoperta. E lo sarà ancora per molto tempo, non solo per l’aumento della popolazione mondiale e l’obbligato abbattimento della povertà, un obiettivo necessario da raggiungere. Basta considerare l’espansione della domotica, il rimpiazzo di automobili a combustione con ibridi plug-in, e infine con vetture totalmente elettriche[4], l’automatizzazione delle industrie[5]; bisogna inoltre considerare le potenzialità delle pompe calore per quanto riguarda il riscaldamento. Ogni settore verrà toccato dall’elettricità. Una società che passa totalmente a veicoli elettrici riduce di molto le sue emissioni di gas serra ed inquinanti, anche se tale elettricità viene prodotta da combustibili fossili, semplicemente perché aumenta l’efficienza generale. Invece di avere tanti piccoli motori poco efficienti, si avrà un unico grande motore estremamente efficiente, se si riescono ad utilizzare fonti rinnovabili per la produzione elettrica, la riduzione sarà almeno in teoria totale. Una buona pompa calore riesce a tirare fuori da un kg di metano (trasformato in elettricità in una centrale elettrica) l’equivalente dell’energia termica prodotta dalla combustione di 2,5 kg di metano[6]. Il risparmio di combustibile come la riduzione di CO2 è evidente. L’Italia ha avuto una continua crescita della produzione elettrica. Sergio Zabot[7] afferma che non “vede lo spazio per costruire 4-5 centrali nucleari che dovrebbero produrre 60 TWh di elettricità all´anno, come chiede Fulvio Conti, amministratore delegato dell´Enel”. Dal riepilogo storico della produzione d’energia elettrica in Italia[8] che comprende i dati fino al 2009, mostra chiaramente che circa 50 TWh vengono importati (circa il 12,8%[9]) direttamente o indirettamente dalla Francia, dove il contributo nucleare è del 76%[10]. Quattro centrali permetterebbero invece di interrompere le importazioni energetiche, di risparmiare e di diventare indipendenti dal punto di vista della produzione.
E’ interessante notare dal grafico come sia aumentata l’importazione d’energia dall’estero dopo la chiusura delle centrali nucleari in Italia e che questa energia era ed è per la maggior parte termonucleare. Inoltre si notano molto bene le recessioni economiche relative alla crisi petrolifera del 1973 come anche la crisi del 1979 ed infine la crisi economica del 2008-2009, con conseguente stagnazione o calo della produzione elettrica. Negli ultimi cinquant’anni, a partire dal “miracolo italiano”, l’aumento della produzione elettrica è stato fisso a circa 50 TWh ogni dieci anni. Una crescita lineare mantenuta inalterata per più di mezzo secolo.
Anche la serie storica del prodotto interno lordo mostra un aumento lineare negli ultimi trent’anni. Lo sfasamento tra produzione elettrica – PIL è di circa trent’anni, questo è dovuto alla tarda industrializzazione del nostro paese, anche serie storiche di altre nazioni indicano una stretta correlazione tra la crescita del PIL e la crescita del consumo elettrico.
Bisogna aggiungere che non risulta esserci invece una correlazione tra la crescita economica e l’aumento del consumo di energia primaria, bene questo fondamentale per quanto riguarda lo sviluppo sostenibile. È risaputo che la domanda di energia primaria nel mondo è in continua crescita[11], questo però è dovuto all’aumento di consumo da parte dei paesi in via di sviluppo, non da parte dei paesi già industrializzati. Escludendo gli Stati Uniti, che negli ultimi 25 anni hanno avuto un aumento del 50%[12] circa del consumo di energia primaria, mentre da più di 25 anni la Germania è stabile su 350 MTEP[13] con tendenza a diminuire. L’Italia invece ha registrato in questo arco di tempo un aumento del 25% circa dovuto soprattutto all’aumento della produzione elettrica. Dalla serie storica del consumo d’energia primaria in Italia[14], riportata di seguito, è possibile notare come il consumo d’energia esclusa la porzione necessaria alla produzione elettrica, sia rimasto tendenzialmente stabile negli ultimi 35 anni. I dati Terna rivelano inoltre che l’efficienza nella generazione elettrica è passata dal 22% circa del 1963 al 36% attuale. Praticamente è stato possibile quasi raddoppiare la produzione elettrica utilizzando lo stesso quantitativo di carburante.
Così si spiega come la Germania abbia potuto mantenere costante il consumo d’energia primaria, ma allo stesso tempo aumentare la capacità di produzione elettrica, dunque il suo Prodotto interno lordo.
Perché nucleare?
L’approvvigionamento dell’energia elettrica è di vitale importanza, tale da poter essere definita una vera e propria dipendenza, che a sua volta riversa sulla dipendenza delle energie primarie. Assicurarsi un approvvigionamento di energia primaria è un obbligo imposto dalla crescita economica, spesso è causa di guerre, sfruttamento di popolazioni e furto di fonti energetiche primarie. Paesi che vogliono evitare la guerra e lo sfruttamento, sono costretti a pianificare con precisa attenzione la propria politica energetica.
Anche la Germania decise di avviare la filiera nucleare, rendendosi conto troppo tardi che l’estrazione della propria lignite e del proprio carbone e la sua trasformazione in energia elettrica è spesso più economica del nucleare, anche considerando gli alti costi di estrazione e di filtraggio.
I numeri in Germania parlano chiaro: mantenendo il consumo attuale, con 24 miliardi T carbone e 40 miliardi di T lignite, essa avrebbe rispettivamente un autonomia 400 anni per il primo e 200 anni per il secondo[16]. Ecco perchè la Germania ha deciso da tempo di uscire dal nucleare e perchè punta fortemente sulla cattura e sequestro della CO2 .
In Italia la politica energetica elettrica è sempre stata passiva, si è passati al carbone una volta che l’idroelettrico non bastava più a soddisfare il fabbisogno, che è stato poi sostituito dal molto più energetico petrolio, che adesso è a sua volta quasi completamente sostituito dal gas naturale, molto meno inquinante ed efficiente. L’approvvigionamento di gas naturale è infatti molto sicuro in Italia, soprattutto quando saranno completati il south stream e il north stream, assicurando un continuo flusso dalla Russia, che agli attuali livelli ha un autonomia di 79 anni. Altri paesi esportatori sono l’Algeria, Paesi Bassi e Norvegia, con rispettivamente 48, 20 e 38 anni di autonomia[17].
Girano voci che i due più grandi esportatori verso l’Italia (Russia ed Algeria) abbiano fatto un accordo per mantenere alti i prezzi del gas naturale. Ai consumi attuali la vita media del gas è stimata in meno di 60 anni; considerando però l’aumento medio annuo del 2,7% questo valore diminuisce ulteriormente, portando il prezzo del combustibile ad un aumento inesorabile[18].
Il gas naturale è già un combustibile costoso, più del carbone e più del petrolio, può ancora essere competitivo perchè è molto più pulito e principalmente più energetico.
Il petrolio viene utilizzato non solo come carburante, ma tiene in vita anche tutte le industrie chimiche soprattutto per la produzione di plastiche di ogni genere. Le materie plastiche sono una di quelle tecnologie cardine nella nostra società che renderanno prezioso il petrolio fino all’ultima goccia. Con i consumi attuali le riserve di petrolio avranno un’autonomia inferiore ai 50 anni[19]. Il consumo del petrolio cresce ogni anno del 2% circa, con tendenza all’aumento[20]. Esiste un problema geopolitico del petrolio che disturba i paesi occidentali e ha portato negli ultimi anni anche alla guerra. Nel 1970 il 50% circa della produzione di petrolio era sotto il controllo delle multinazionali occidentali, questo valore è sceso al 15% nel 2008[21].
Le riserve di carbone, fonte d’energia fossile più inquinante, ma allo stesso tempo più economica, con i consumi attuali hanno una vita media stimata di 132 anni[22]. Considerando però un aumento del consumo pari a 2,5% l’autonomia media può essere abbassata a 56 anni[23].
Le due più attendibili fonti d’informazione riguardante tutto ciò che concerne la filiera nucleare, sono la IAEA[24] e la NEA. Con cadenza biennale queste due agenzie pubblicano il cosiddetto Red Book, che comprende il resoconto dei progressi della filiera. L’ultima edizione[25], con il nome completo di Uranium 2007: Resources, Production and Demand, indica un totale di 5,5 milioni di tonnellate d’uranio scoperto oppure dato per certo su evidenze geologiche che, basandosi sui consumi attuali che ammontano a 67 mila tonnellate, dovrebbero bastare per 82 anni. Rispetto alla precedente relazione il valore di queste riserve è aumentato del 17%. Per quanto riguarda il consumo viene indicato un aumento pari all’1,5 – 2,7% per i prossimi 20 anni. Le potenziali riserve ancora da scoprire vengono stimate intorno ai 10,6 milioni di tonnellate (di cui 7,6 potenzialmente estraibili ai prezzi attuali).
Nel Red Book vengono inoltre citati fonti di uranio non convenzionali, come la pelite, depositi di fosfati e lignite, inoltre è possibile estrarre uranio dalle ceneri delle centrali a carbone[26]. Tutto ciò a prezzi d’estrazione superiore ai 130 dollari per kg per un totale massimo 22 milioni di tonnellate, che corrispondono ad un autonomia di 328 anni.
Nella filiera nucleare il prezzo della materia prima, ossia il yellowcake (U3O8 al 70-80%) che appunto ha un valore di mercato intorno a 130 dollari/kg, influisce molto poco sul prezzo finale del kWh che equivale a 0,38 centesimi di dollaro[27]. Dunque una triplicazione del suo prezzo non porta a gravi conseguenze economiche, come invece succede con il petrolio. Studi giapponesi[28] hanno dimostrato che con un prezzo indicativo di 390-700[29] dollari diventa economicamente accettabile l’estrazione d’uranio (e altri metalli pesanti) direttamente dal mare, che con 3,3 µg/l d’uranio disciolti in 1,35 miliardi di km cubi acqua marina arriverebbe a circa 4 miliardi di tonnellate, abbastanza da bastare per i prossimi 59 700 anni, con i consumi attuali[30]. Il discorso cambia quando si imposta una politica tale da rimpiazzare tutti i combustibili fossili con il nucleare: solo un 13-14% dell’energia elettrica mondiale proviene da fonti nucleari[31].
Reattori nucleari ad acqua pesante come CANDU possono utilizzare una grande varietà di combustibili nucleari a differenza dei reattori ad acqua leggera. Oltre all’ossido di uranio naturale, possono utilizzare miscele di uranio impoverito e plutonio (MOX), ossido di plutonio, ossido di torio, barre combustibili esaurite dei reattori ad acqua leggera con o senza riprocessamento chimico.
Reattori nucleari autofertilizzanti, già esistenti, producono durante il loro funzionamento più materiale fissile di quanto ne viene consumato. Questo materiale fissile può essere utilizzato per la reazione nucleare, ottimizzando l’uso dell’uranio (aumentando l’efficienza energetica dell’uranio). Meno dell’uno percento dell’uranio prende parte alla fissione in reattori ad acqua leggera o CANDU. Utilizzando i reattori autofertilizzanti si può utilizzare il 50-60% dell’uranio come materiale fissile, questo moltiplica di un fattore 50-60 (secondo un autore tedesco il fattore è tra 30-100[32]) l’energia elettrica ricavabile dall’uranio.
In poche parole l’uranio presente sulla terra basterebbe in teoria per qualche milione di anni[33].
Se non si trovano fonti rinnovabili alternative, che possano sostenere la crescita socio-economica mondiale, l’umanità, sarà costretta prima o poi ad attingere alla fonte nucleare, una fonte energetica potenzialmente infinita.
EPR
Il governo Italiano ha deciso di rintrodurre la filiera nucleare scegliendo l’EPR (European pressurized water reactor). È un reattore ad acqua leggera, dunque necessita di uranio arricchito o di MOX. Questa tecnologia è consolidata, particolare attenzione è stata posta alla sicurezza della centrale durante la progettazione, nella sua categoria è sicuramente un valido prodotto. L’efficienza elettrica è del 37%, la potenza è di 1,6 GW netti istantanei. L’operatività prevista è di 60 anni. Il reattore è stato progettato dall’azienda francese Areva e dalla tedesca Siemens.
Per quanto riguarda i costi[34], il primo esemplare (Finlandia) ha raggiunto la ragguardevole cifra di 5,2 miliardi di euro, che in partenza dovevano essere 2,5. Il reattore sarà terminato nel 2012 con tre anni di ritardo (inizio costruzione agosto 2005). Il secondo esemplare verrà completato nel 2014 anch’esso con tre anni di ritardo, il costo iniziale era 3,3 miliardi, nel frattempo sono stati raggiunti 4 miliardi, ma potrebbero ancora aumentare fino al 2014. Secondo il produttore ci sono altri costi come interessi e avvio d’attività per circa 650 milioni di euro. Inoltre bisogna considerare il consumo di uranio non arricchito che equivale a circa un kg ogni 34 MWh prodotto, dunque considerando un periodo di 60 per 7000 ore annue (80% attività) equivale a 2 miliardi circa, al prezzo di 100 euro al kg per l’uranio. I costi riguardanti lo smantellamento sono altrettanto alti. Vari studi tedeschi hanno riportato un costo tra 0,6 e 1,8 milioni di euro per megawatt[35] che per l’EPR sarebbero circa 1,9 miliardi[36] considerando un valore medio di 1,2 milioni/MW.
Esiste un programma sviluppato dalla Wise-Uranium.org[37] che permette di calcolare i costi riguardanti l’arricchimento dell’uranio e lo smaltimento. Inserendo i valori delle caratteristiche dell’EPR fornite dal produttore è possibile determinare con precisione il consumo di uranio arricchito e il suo costo, fornendo al programma i kwh prodotti dalla centrale in un anno. Inoltre viene calcolato un preventivo riguardante lo smaltimento dei rifiuti generati durante l’estrazione mineraria, dell’uranio impoverito e dell’uranio esaurito sulla base del prezzo di mercato (le metodologie di smaltimento non vengono specificate). Si ottiene un consumo annuo di 288 tonnellate di yellowcake per un costo di 1,73 miliardi di euro considerando 60 anni di attività[38]. Questo valore è inferiore a quello calcolato precedentemente, perché l’efficienza elettrica dell’EPR è superiore alla media[39]. Il costo totale dell’uranio arricchito (comprende anche il valore del yellowcake) è invece di 3,5 miliardi, dunque l’arricchimento e la materia prima hanno all’incirca gli stessi costi: 1,75 miliardi l’uno. I costi di smaltimento dei rifiuti radioattivi ammontano secondo wise-uranium.org a circa 1,2 miliardi di euro sempre considerando 60 anni.
Dunque, se il costo di costruzione per le quattro centrali italiane si aggira intorno ai 4 miliardi, il prezzo totale dovrebbe essere 11,2 miliardi per un’operatività di 60 anni, 80% dell’operatività e con il costo dell’uranio stabile nel tempo. Non sono compresi nel prezzo finale l’assicurazione e
le infrastrutture necessarie per la costruzione della centrale; inoltre sono possibili danni alla salute della popolazione, danni all’ambiente, mentre i costi di smaltimento potrebbero essere più alti, gli eventuali guasti potrebbero costare miliardi di euro, rendendo incerto per la centrale il raggiungimento del termine previsto di 60 anni di operatività. Il costo di 11,2 miliardi equivale a 7000 euro a kilowatt, un valore comparabile ad altri reattori di ultima generazione. Una recente ricerca del MIT[40] indica come costo di sola costruzione di un reattore in America circa 3100 euro per kwh, in linea con i costi dell’EPR che si aggirano intorno a 2500 e 3250 euro. La stessa ricerca indica come costo complessivo del kwh prodotto circa 5 centesimi di euro, considerando 20 – 30 anni di operatività. Ovviamente i prezzi si abbassano se l’operatività aumenta, ma contemporaneamente aumenta il rischio di malfunzionamento, con eventuali ulteriori costi di riparazione.
Costi aggiuntivi riguardanti possibili danni alla salute o all’ambiente dipendono principalmente dall’organizzazione dello smaltimento dei rifiuti. La tossicità radioattiva del reattore deve essere confinata nel reattore e tenuta sotto controllo, ogni fuga di radioattività dal reattore è di fatto un malfunzionamento di grande entità. Nel caso di un serio incidente nucleare la situazione potrebbe rilevarsi catastrofica. Per avere un’idea dell’entità dei danni, il governo tedesco ha commissionato nel 1992 alla Prognos AG (azienda svizzera) una ricerca[41] che doveva valutare i costi di una eventuale catastrofe nucleare. Secondo questa azienda il costo totale sarebbe stato di tre o quattro volte il PIL della Germania del 92. La società per la sicurezza dei reattori nucleari tedeschi valutò in media che ci sarebbero stati subito 15 000 morti e 100 000 morti per le conseguenze, si sarebbe contaminata gravemente un area di 5600 km quadrati (più grande della superficie del Molise), con la conseguente evacuazione di un ingente numero di persone. Secondo uno studio della IAEA sull’EPR, un incidente di tale dimensione dovrebbe avvenire in media una volta ogni milione di anni.
Alternative – valutazioni finali
Con le attuali tecnologie, l’unica alternativa per il lungo periodo, considerando una situazione di crescita economica, sembra essere il nucleare. Nessuna fonte rinnovabile può con le attuali tecnologie rimpiazzare la produzione elettrica convenzionale, figuriamoci sostenere un periodo di crescita. Questo non vuol dire che per un paese come l’Italia la scelta dell’EPR sia quella giusta. Tralasciando i rischi e il problema dello smaltimento ancora non risolto, non si aggiunge nessun vantaggio: l’Italia continua a rimanere dipendente dall’estero per quanto riguarda l’approvvigionamento d’energia primaria, non c’è sostanzialmente un vantaggio economico, anche se certamente si abbassano le emissioni di CO2 senza però annullarle[42]. Il nucleare può diversificare la produzione elettrica dell’Italia, ma il problema dei rifiuti radioattivi potrebbe rivelarsi peggio dei gas serra. L’anidride carbonica può essere riassorbita dalla biomassa, mentre la spazzatura nucleare rimarrà pericolosa per millenni. Penso anche alle infiltrazioni mafiose durante la costruzione delle centrali e al business dello smantellamento illegale dei rifiuti radioattivi.
Considerando l’importanza che comunque assumerà in futuro il nucleare, introdurre nel nostro paese questa filiera non è un’idea completamente folle. Credo però che questa filiera dovrebbe essere prettamente dedicata alla ricerca. L’Italia dispone di ottimi scienziati e la fisica è sempre stata rilevante nella nostra cultura scientifica. Esistono moltissimi progetti riguardanti il nucleare che devono essere esplorati e se non lo faremo noi, lo farà qualcun altro. Rinunciare completamente al nucleare unicamente per motivi ideologici, o peggio ancora, per paura, è di fatto un’assurdità.
Per poter crescere in modo sostenibile, sarà necessario abbassare il consumo di energia primaria, ma contemporaneamente aumentare la produzione elettrica, non è un obiettivo impossibile. Già adesso in molte nazioni industrializzate c’è una stasi nei consumi dell’energia primaria. L’efficienza può essere portata molto al di là dell’attuale 36%. Centrali a gas a ciclo combinato sfiorano con l’attuale tecnologia il 60%. Utilizzando il teleriscaldamento è possibile superare il 90% dell’efficienza.
Questa non è fantascienza. Una centrale a ciclo combinato costa un decimo di una centrale nucleare. L’unica alternativa per una crescita sostenibile è l’aumento dell’efficienza, semplicemente perché la Terra non ha né risorse né spazio infinito.
La mia alternativa è la biomassa. Tramite la digestione della biomassa è possibile ottenere grandi rese di biogas, da cui una volta purificato si ottiene metano puro, molto più pulito del gas naturale[43]. Il biogas purificato può essere introdotto nei gasdotti. L’Italia è uno dei paesi più metanizzati al mondo e tutte le infrastrutture già esistono. Come indicato sopra è possibile alzare le rese fino al 90%, inoltre il biogas è CO2 neutrale, ma si può fare di più utilizzando il sequestro dell’anidride carbonica, che non ha prezzi impossibili. Con una filiera energetica di questo tipo il bilancio dei gas serra sarebbe addirittura negativo. Il problema è la produzione della biomassa. L’Italia non dispone di ampie distese coltivabili, comunque esistono tutta una serie di approcci che devono essere esplorati a fondo: per esempio la biomassa algale, la crescita di biomassa intensiva tramite agricoltura verticale, la crescita di biomassa estensiva affittando terreni in altre zone del mondo, l’utilizzo di zone desertiche o piattaforme marine applicando l’idroponica.
L’energia elettrica sarà sicuramente un problema fondamentale da risolvere, un problema correlato alla crescita sostenibile. Aspettare passivamente che qualcuno scopra una tecnologia che permetta la produzione di infinita energia a basso costo è un atteggiamento poco responsabile ed in grado di rendere non più praticabili interventi tardivi. Quando si tratta di energia elettrica non bisogna tirarsi indietro, bisogna invece esplorare approfonditamente ogni alternativa e scegliere considerando non solo le conseguenze per i nostri figli, bensì le conseguenze per tutte le future generazioni.
[1] Un esempio banale: con la calcolatrice è possibile eseguire calcoli complicati in un tempo brevissimo, senza elettricità la calcolatrice è inutilizzabile, la mia abilità ad usarla diventa inutile, perché non mi aiuta a eseguire dei calcoli scritti.
[2] Arthur Melvin Okun (1928-1980) Economista americano.
[3] CIA – Factbook (stima del 7-2009)
[4] Basta considerare all’enorme “benessere” che si potrà ottenere dalle vetture elettriche: bassi consumi per l’utente finale, grande efficienza che equivale a rispetto per l’ambiente, zero inquinamento nelle città con enormi benefici in termini sanitari, zero inquinamento acustico, fantastiche capacità d’accelerazione intrinseche del motore elettrico.
[5] L’automatizzazione delle industrie è l’unico modo per competere con la manodopera a basso costo.
[6] Considero una temperatura esterna di 7°C , il COP è 5 e l’efficienza della centrale elettrica è di 0,5. La pompa calore è uno dei tanti modelli del produttore Geotherm – www.geotherm.it
[7] Sergio Zabot e il suo interessante articolo “Cronistoria sulla produzione energetica in Italia e favola sul nucleare necessario – Articolo veritiero di Sergio Zabot “ preso dal sito del “circolo vegetariano calcata” pubblicato il 6 giugno 2009. Articolo che riassume la sua opera “L’illusione nucleare”.
Indirizzo dell’articolo: http://www.circolovegetarianocalcata.it/2009/06/06/cronistoria-sulla-produzione-energertica-in-italia-e-favola-sul-nucleare-necessario-articolo-veritiero-di-sergio-zabot/
[8] Fonte Terna
[9] dati visualizzabili dai dati storici Terna (2007)
[10] www.developpement-durable.gouv.fr/energie/statisti/se_elec.htm - sito del ministero francese dell’ecologia e dell’energia e lo sviluppo sostenibile
[11] International Energy Outlook 2004
[12] Energy information administration – che pubblica ogni anno resoconti del consumo energetico primario in USA e nel mondo.
[13] ag-energiebilanzen.de – i bilanci energetici in germania
[14] Dati Terna presi dalla tabella: http://www.terna.it/LinkClick.aspx?fileticket=ipA%2fvmJpBq0%3d&tabid=653
[15] All’epoca, come suggerisce Zabot, un arsenale nucleare sembrava la cosa migliore contro la “minaccia comunista.”
[16] Sito del “Bundesanstalt für Geowissenschaften und Rohstoffe“ – istituto federale delle scienze geologiche e delle materie prime.
[19] BP Statistical Review 2004
[21] Articolo: As Oil Giants Lose Influence, Supply Drops. Autori: JAD MOUAWAD. New York Times. 18\8\2008
link - http://www.nytimes.com/2008/08/19/business/19oil.html?_r=4&hp=&pagewanted=all
[22] Energy information administration – riserve di carbone - http://www.eia.doe.gov/neic/infosheets/coalreserves.html
[23] International Energy Outlook 2007 Chapter 5 Coal
[24] International Atomic Energy Agency entità esistente nel sistema delle nazioni unite
[26] World Nuclear News - http://www.spartonres.ca/download/World_Nuclear_News-October2007.pdf#Report
[27] Il Red Book indica 34MWh per kg di uranio senza l’utilizzo di reattori autofertilizzanti ne di impianti di recupero, che con il prezzo attuale di 130 dollari/kg equivale a 0,38 centesimi di dollaro.
[28] Hisashi Nobukawa, et al.: A Barge-Type System for Extracting Uranium from Seawater Using Pump Units.
[29] 390 dollari secondo gli autori giapponesi, mentre il redbook indica 700 dollari
[30] 59 700 anni considerando un consumo di 67 000 tonnellate all’anno, il redbook indica per il 2030 un consumo di
90 000 – 120 000 tonnellate all’anno riducendo l’autonomia a 33 mila - 44 mila anni.
[31] World Nuclear Association - Nuclear World News 5 maggio 2010
[32] Daniel Lübbert, Felix Lange: Uran als Kernbrennstoff: Vorräte und Reichweite. Ricerca per il governo tedesco.
[33] L’uranio nei mari moltiplicato per un fattore 50 equivale ad un’autonomia a consumi attuali di 3,6 milioni di anni.
[34] Dati ottenuti dal produttore: www.areva-np.com
[35] Sono stati fatti dei preventivi riguardanti quattro centrali nucleari tedesche: Kernkraftwerk Mülheim-Kärlich ,750 milioni Euro (1302 MW), Stade 500 milioni (672 MW), Obrigheim 500 milioni Euro (357 MW) e Greifswald.
[36] Fonti non ufficiali calcolano con dei costi di smantellamento per l’EPR di circa 4,5 miliardi, una cifra molto alta dovuta alla complessità della struttura necessaria a rendere sicuro il reattore. Secondo la U.S. Nuclear Regulatory Commission, il costo di smantellamento medio è di circa 300 milioni di dollari per una centrale media. Articolo -Decommissioning a Nuclear Power Plant, 2007-4-20, Retrieved 2007-6-12
[37] Link del programma: - http://www.wise-uranium.org/nfcc.html
[38] Si considera il prezzo del yellowcake a 100 euro circa 130 dollari, le quotazioni attuali sono 105 dollari (9/2010), inoltre si considerano 7000 ore operative all’anno (80% attività)
[39] 34 MWh per kg è un valore medio, l’efficienza del 37% è superiore alla media.
[40] Ricerca aggiornata al 2009 link: - http://web.mit.edu/ceepr/www/publications/workingpapers/2009-004.pdf
[41] Ricerca completa (in tedesco) http://www.zukunftslobby.de/Tacheles/prognstu.html
[42] L’emissioni di anidride carbonica sono intorno ai 20-120 grammi per kwh a seconda delle condizioni di estrazione dell’uranio.
[43] In pratica la combustione produce solo CO2 e acqua, niente nano polveri perché non è presente il particolato.